"Spesso il male di vivere"

    Letteratura e teatro

    Il titolo riprende l'emistichio di Giacomo Leopardi a me la vita è male[1]. Questa poesia – inserita nella raccolta Ossi di Seppia – viene considerata un esempio di correlativo oggettivo, dove la sofferenza esistenziale, il male di vivere, si traduce in immagini quotidiane e concrete: il rivo, la foglia, il cavallo. Unico scampo al dolore è l' Indifferenza, per la quale il poeta utilizza la figura retorica della personificazione[2]: bisogna diventare insensibili, freddi e lontani come la statua, la nuvola, il falco divina; e questa Indifferenza è divina perché solo gli dei la posseggono e solo loro possono donarla ai mortali per liberarli dal male di vivere.

     

    Spesso il male di vivere ho incontrato:
    era il rivo strozzato che gorgoglia,
    era l'incartocciarsi della foglia
    riarsa, era il cavallo stramazzato.

    Bene non seppi, fuori del prodigio
    che schiude la divina Indifferenza:
    era la statua nella sonnolenza
    del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

     

     


    [1] Si chiama emistichio, (dal greco: ἡμι- "mezzo" e στίχος "verso") è ciascuna delle due parti in cui un verso lungo (da otto sillabe in poi) può essere diviso da una pausa, detta cesura

    L' emistichio a me la vita è male si trova nel v.104 del Canto notturno di un pastore errante dell'Asia:

    Qualche bene o contento
    Avrà fors’altri; a me la vita è male

    [2]La personificazione è una figura retorica che consiste nel fare di un essere inanimato o astratto una persona reale, dotata di sentimenti e di vita, spesso utilizzando, come ha fatto Montale, la lettera maiuscola.

     

    Materiali collegati
    Autori: 
    Opere: 

    Chiavi di VIVIT: