Dopo l'unificazione politica la popolazione italiana, per secoli immobile nei vari comparti regionali, andò incontro a un profondo rimescolamento: in particolare la nuova organizzazione amministrativa, la crescita delle città e l'industrializzazione movimentarono presto l'intero assetto sociale della Nazione.
Quali sarebbero state le conseguenze nel campo della lingua fu rilevato già nel 1869 proprio dal presidente della Crusca, lo storico Marco Tabarrini, con queste parole:
Le mutate sorti d'Italia gioveranno senza fallo ad estendere l'uso della lingua comune; e questo rimescolarsi d'italiani dalle Alpi all'Etna, che si guardano in viso per la prima volta, e si stringono la mano col sentimento d'appartenere ad una sola nazione, condurrà necessariamente a rendere sempre più ristretto l'uso dei dialetti, che sono marche di separazione, fatte più profonde dai secolari isolamenti. Ma da questo gran fatto, si voglia o non si voglia, la lingua uscirà notabilmente modificata. Né io mi dorrò di questi mutamenti, perché il trasformarsi è legge universale delle cose viventi: soltanto vorrei che la lingua coll'allargarsi non perdesse il suo genio e non restasse corrotta.
Queste ultime affermazioni del Tabarrini vanno collegate a due questioni allora molto dibattute, sulle quali lo stesso autore prese posizione: il rapporto con i dialetti; la soluzione "alla francese" sostenuta dal Manzoni. Sulla prima il Tabarrini esortava a far procedere gradualmente i dialettofoni verso l'italiano, proponendo loro dizionari che mostrassero non solo gli equivalenti italiani dei vocaboli dialettali ma le corrispondenze tra i "modi vivi" dei dialetti e quelli del parlato toscano: c'era dunque l'attesa di veder convergere in un uso parlato generale spinte provenienti anche dal parlato di altre regioni. Sulla seconda questione, Tabarrini dimostrava chiara consapevolezza della storicità dell'italiano: una lingua che in nessuno dei suoi utenti, nemmeno nei Toscani, poteva essere ricondotta a pura tradizione orale, poiché è dai libri che gran parte della lingua è passata anche nella bocca degli Italiani.
Andava così prendendo corpo la corrente di pensiero che avrebbe difeso e salvato la continuità nella storia della nostra lingua: quella continuità che ha permesso all'Italia postunitaria di collegarsi al patrimonio di cultura in cui si riconosce la civiltà italiana. La modernizzazione della lingua restava un bisogno insopprimibile, ma sarebbe avvenuta, come sostenne poco dopo con forti argomentazioni il grande linguista Graziadio Isaia Ascoli, attraverso un processo graduale, conseguente all'avanzamento culturale e all'unificazione interna della società italiana.