Dall’Epistolario: Lettera a Scipione Gonzaga e Lettera a Maurizio Cataneo

    Letteratura e teatro

    Lettera a Scipione Gonzaga, 1 ottobre 1575

    Nel 1575 Tasso ha terminato da pochi mesi la Gerusalemme Liberata ed è assalito da mille dubbi: forse non ha seguito in modo adeguato le regole di Aristotele, forse non ha rispettato i principi fondamentali della religione cattolica. Perciò, dopo aver rivisto e modificato l’opera, l’ affida all’amico Scipione Gonzaga e lo prega di mostrarla a studiosi e religiosi dotti e severi perché svolgano un controllo minuzioso. In questa lettera, scritta cinque mesi dopo la conclusione del poema, Tasso chiede a Scipione se ha notato un’imperfezione tipica del suo stile: il parlar disgiunto, che consiste nell’utilizzare periodi separati, non legati o introdotti da congiunzioni. È una modalità di scrittura usata anche da Virgilio, precisa il poeta, ma questa consapevolezza non riesce a far tacere i suoi dubbi:

     

    Non so se S.V. abbia notato un’imperfezione del mio stile. L’imperfezione è questa: ch’io troppo spesso uso il parlar disgiunto; cioè quello che si lega piuttosto per l’unione dipendenza de’ sensi, che per copula o per altra congiunzione di parole. L’imperfettione v’è senza dubbio; pur ha molte volte sembianza di virtù, et è talora virtù apportatrice di grandezza: ma l’errore consiste nella frequenza. Questo difetto ho io appreso della continua lettion di Virgilio, nel quale (parlo dell’Eneide) è più ch’in alcun altro; onde fu chiamato da Caligula arena senza calce. Pur se bene con l’auttorità si può scusare e difendere, sarebbe meglio rimediarvi talora. Io mi ci son provato e mi ci riproverò: Vostra Signoria mi favorisca d’averci anch’ella un poco d’avvertimento.

     

     

    Lettera a Maurizio Cataneo, 30 dicembre 1585

    Il 30 dicembre 1585, (penultimo de l’anno) Tasso, che ha 41 anni ed è rinchiuso da sei nell’ospedale di Sant’Anna, scrive all’amico e protettore Maurizio Cataneo parlando del folletto, il fantasma che vive ne lo spedale e che gli nasconde le lettere, il cibo, i guanti.

    Nel Dialogo intitolato Il messaggero, Tasso chiama il folletto gentile spirito e lo descrive con le sembianze di un giovanetto dagli occhi azzurri, simili a quelli che Omero alla dea d'Atene attribuisce. Giacomo Leopardi farà riferimento al Messaggero nell’Operetta morale Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare.

    Ma soprattutto, in modo puntuale e lucido, il poeta racconta le sue infelicità, i tormenti che gli procura la sua mente malata, pregando l’ amico di aiutarlo a uscire dal terribile carcere (cavarmi di questo luogo).

     

    Oltre ai miracoli del folletto  scrive Tasso – durante la notte ci sono molte altre apparizioni che mi tormentano (molti spaventi notturni): mi sembra (mi è paruto) di vedere fiammette ne l’aria e ombre de’ topi nel letto (nel mezzo de lo sparviero); spesso sento vari suoni: fischi, titinni, campanelle e romore quasi d’orologi da corda; a volte, durante il sonno ho la sensazione che mi si butti un cavallo addosso e mi sveglio dolorante (dirotto); ho dolori non fortissimi (piccioli), ma di tutti i tipi: di testa, d’intestino, di fianco, di cosce, di gambe, e vomiti, flusso di sangue e febbre mi rendono debole. Fra tanti terrori e tanti dolori, però, mi è apparsa anche la Madonna con Gesù Bambino in braccio, circondata da colori e vapori. Ma forse tutto questo è opera di fantasia, della mia mente malata, perché spesso sono in preda al delirio (sono frenetico), i fantasmi mi perseguitano e sono pieno di malinconia infinita.

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