L’italiano si è costituito come lingua nazionale sulla base del fiorentino trecentesco proprio grazie al modello della Commedia di Dante, del Canzoniere di Petrarca e del Decameron di Boccaccio. La continuità tra la lingua delle “Tre Corone” e l’italiano di oggi è indubbia, a tutti i livelli di analisi: ma il trascorrere dei secoli e soprattutto l’uso effettivo, anche parlato, della nostra lingua, almeno a partire dall’Unità d’Italia in poi, hanno determinato una serie di trasformazioni.
Diversamente dalle altre grandi lingue di cultura che all’inizio dell’età moderna hanno avuto un’evoluzione strutturale che le ha staccate fortemente dalla fase medievale, l’italiano non ha avuto questo distacco dalle sue forme medievali: si era saldamente costituito sulla base del fiorentino trecentesco nell’elaborazione letteraria che ne fecero Dante, Petrarca e Boccaccio, e i grammatici cinquecenteschi (o meglio, quelli della linea classicista, capeggiata dal Bembo, risultata alla fine vincente) la riconfermarono come modello dell’uso scritto. Anche le successive evoluzioni del fiorentino influenzarono solo in piccola parte il successivo corso dell’italiano, ormai fissato e standardizzato dalle grammatiche e dai vocabolari che si pubblicarono in gran numero nel Cinquecento e nel Seicento (tra i vocabolari, principalissimo quello dell’Accademia della Crusca, uscito in prima edizione nel 1612 e riproposto in varie altre edizioni nei secoli successivi).
Mentre nella comunicazione parlata dominarono a lungo, in tutte le regioni d’Italia, i dialetti, l’uso prevalentemente scritto garantì anche nei secoli successivi la stabilità della nostra lingua, almeno in certi livelli della struttura linguistica, come la fonologia e la morfologia. Solo a partire dall’Unità , quando l’italiano ha cominciato a diventare una lingua anche parlata, in seguito a una serie di fattori, il processo di trasformazione, precedentemente molto lento, ha subìto una forte accelerazione. La pressione del parlato ha provocato varie ristrutturazioni nel sistema della lingua, facendo emergere tendenze evolutive lungamente tenute a freno dalla tradizione grammaticale e introducendo tratti innovativi. In sintesi, tra “italiano antico” e “italiano moderno” c’è una forte continuità (dichiarata decisamente dal fondatore della linguistica italiana, Graziadio Isaia Ascoli,1829-1907), ma studi più recenti, culminati in due ampie pubblicazioni (Renzi, Salvi 2010; Dardano 2012), hanno dimostrato che, soprattutto sul piano della sintassi, esistono differenze notevoli tra le due forme d’italiano. In ogni caso, dobbiamo parlare di due fasi storiche di una stessa lingua e non di due sistemi diversi, come invece è accaduto per il francese, tra le lingue romanze, e per l’inglese tra le germaniche.