Approfondimento: italiano di Dante e italiano di oggi

    Storia linguistica d'Italia
    Sandro Botticelli (scuola), "Ritratto di Dante Alighieri"

    La continuità sostanziale tra l'italiano di Dante e l'italiano di oggi è certa, ma gli elementi di differenziazione ci sono e non sono pochi. Tra le altre cose, l’italiano ha progressivamente ridotto la polimorfia, vale a dire la coesistenza, all’interno del sistema, di forme (soprattutto nei paradigmi dei verbi, dei nomi e dei pronomi) tra loro diverse ma di valore equivalente, che fin dal Medioevo caratterizzava la nostra lingua letteraria (Ghinassi 2007; Coletti 2012). È vero che la maggioranza delle parole che costituiscono il “lessico fondamentale” dell’italiano di oggi sono presenti già in Dante: «Quando Dante comincia a scrivere la Commedia il vocabolario fondamentale è già costituito al 60%. La Commedia lo fa proprio, lo integra e col suo sigillo lo trasmette nei secoli fino a noi. Alla fine del Trecento il vocabolario fondamentale italiano è configurato e completo al 90%» (De Mauro, 1999: 1166). Tuttavia, molte parole documentate fin dalle origini hanno acquisito nel corso dei secoli un significato alquanto diverso; altre parole un tempo vitali e frequenti sono diventate arcaiche e rare o sono state sostituite da altre (a volte di diversa provenienza dialettale). Molti derivati e composti e perfino alcuni odierni meccanismi di derivazione e di composizione non esistevano nel Trecento. Notevoli trasformazioni si sono avute anche nel campo delle congiunzioni e delle locuzioni congiuntive, dove sono frequenti i casi di grammaticalizzazione e di passaggi dall’uso frasale a quello testuale.

     

    Visto che parliamo dell’italiano dell’età di Dante, sarebbe bello poter descrivere direttamente l’uso personale del poeta: purtroppo, però, di nessuna delle sue opere (latine e volgari) possediamo autografi (Ciociola 2001: 139; Tavoni 2010: 334) e quindi non siamo in grado di ricostruire con sicurezza la  sua lingua.  Non c’è alcun dubbio che la Commedia sia stata scritta in fiorentino (pur con l’innesto di voci e forme tratte dagli altri volgari dell’epoca), ma – nel mare magnum dei manoscritti che ci hanno conservato l’opera – non è possibile risalire al dettato dantesco, almeno per quanto riguarda la sua veste formale: «non solo niente si può dire della fisionomia grafica del testo, ma anche l’originario aspetto fonomorfologico resta in parte occultato e non può essere oggetto di conclusioni libere da sospetti» (Manni 2003: 139); soltanto «ciò che [è] garantito dalla rima, risale di sicuro all’originale» (Stussi 2001: 334).

     

    Nonostante queste incertezze, è possibile tracciare un breve profilo della lingua della Commedia  (Parodi 1896; Ambrosini 1978; Manni 2003) e lo faremo, sia per indicare i tratti di differenziazione dall’italiano di oggi, sia per segnalare alcune particolarità spiccate del fiorentino due-trecentesco (su cui cfr. soprattutto Castellani 1952: 21-166; Manni 2003: 34-41) e anche alcune specificità dantesche, legate a quello che è stato definito il “plurilinguismo” dell’opera.

     

    È importante precisare che il testo della Commedia a cui si fa tuttora riferimento è quello dell’edizione critica predisposta nel 1966-1967 (e riveduta nel 1994) da Giorgio Petrocchi. Questa si basa sui 27 manoscritti anteriori al 1355, tra i quali, sul piano linguistico, è stato considerato dall’editore particolarmente affidabile il codice Trivulziano 1080, il cui copista, Francesco di ser Nardo, originario di Barberino di Val d’Elsa, aveva a Firenze una bottega specializzata appunto nella trascrizione del poema dantesco. È un codice «testimone di una fiorentinità più tarda e probabilmente non immune da interferenze di contado» (Manni 2003: 138), scelto anche da un altro editore (Antonio Lanza, nel 1996), mentre un’altra edizione (di Federico Sanguineti, del 2001) valorizza il manoscritto Urbinate lat. 366, la cui veste linguistica, però, è emiliano-romagnola.

     

    (A cura di Paolo D'Achille)